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Valentino e Sparazecchino il racconto di Capodanno

Racconto sparazecchino 1
“Valentino e Sparazecchino” ovvero come fu che lo spazzacamino ed il porcellini divennero portafortuna. A spiegarlo è Gianna Martini, autrice lecchese. Pubblichiamo uno stralcio del suo racconto, che si può leggere sulla sua pagina Facebook-

Su pei monti in un paesino abitava Valentino, che era figlio ultimo nato
di un pastore malandato che tirava a campare con sei figli da sfamare.
Un inverno, una morìa le sue bestie spazzò via. Così i figli col papà, se ne andarono in città.
Con la madre e con la fame, a dosare il poco pane, restò solo in famiglia Valentino che niun piglia poiché egli è magrolino: pare proprio un malatino!
Ma di lì un dì passò losco un uomo che pensò: “Quanto è smilzo ‘sto bambino, proprio adatto pel camino. Costui ci entra e via spazza meglio di ogni altra ramazza!”
E in compenso di un soldino via con sé portò il piccino.
Per Natale fu il lavoro – ben pagato a peso d’oro! – di una tale quantità che il padrone aveva già di soldoni un bel bottino: manco un soldo Valentino!
Giunta poi la fine d’anno – tutti quanti festa fanno! –agghindato, ad un festino va il padrone di Valentino, mentre lui viene lasciato in una stalla abbandonato.
Nella notte gelida e nera Valentino piange e spera di tornare da chi ama, di non fare più vita grama!
Ecco che di un maialetto spunta fuori il bel musetto che a lui poi si avvicina
e gli annusa la faccina.“Quanto nero sei bambino, come chi spazza il camino!”
Io son vero, non un sogno: io di te ho gran bisogno! Presto va’ ed apri l’uscio, io da qui, via me la sguscio, perché tutti hanno in testa proprio a me di far la festa!” Valentino non ristà e ad aprire la porta va. Ed i due fuggono via!
Ma a terra Valentino vede d’oro uno zecchino!
Il porcello contrariato sbotta fuori difilato: “Accipicchia, ora tu sai
la cagione dei miei guai! La mia coda, nel tirare, fa monete rotolare!
Ciò succede a Capodanno – per me giorno di malanno! – chi la coda mia si becca la trasforma in una zecca!
Prendi pure lo zecchino, o mio caro Valentino ma non svelare il nome mio
se no io ti dico addio!”…

“Lario, Principe ereditario!” segnalato nel nostro concorso “Tra terra e acqua”

libri

Iniziamo la pubblicazione dei racconti che si sono distinti nel nostro concorso “Tra terra e acqua”, che ha ottenuto un ottimo seguito.

“Lario, Principe ereditario!” di Antonella Bolis, ha avuto la segnalazione della giuria, in quanto ben scritto, inoltre ha colto nel pieno il tema dell’iniziativa. Facciamo i complimenti all’autrice.

C’era una volta un Principe Azzurro di nome Lario.
I suoi genitori, re Como e regina Lecco, lo avevano cresciuto con tanto amore.
Un giorno egli avrebbe ereditato vasti possedimenti di terreni coltivati a cereali e frutta, prati dove il bestiame pascolava alla ricerca dell’erba più tenera, vallate in cui i cavalli scorrazzavano liberi, inoltre, zone montane vestite da fitti boschi e castelli che austeri dominavano lo scenario tra rocciosi pendii.
Quando compì la maggior età, i genitori commossi consegnarono nelle mani del giovane un fagottino di pelle contenente un preziosissimo anello di fidanzamento tramandato da generazione in generazione. A corte diedero una gran festa in suo onore invitando aristocratiche fanciulle delle più nobili famiglie, tutte se lo contendevano per un ballo e con battiti di ciglia su occhi dolci, si prostravano in inchini che gonfiavano le molteplici gonne di seta colorata.
Le possibili promesse spose apparivano molto graziose, per lo più tutte tranne una davvero bruttina non più giovanissima che nonostante il titolo nobiliare non era ancora riuscita a prender marito! Il vecchio padre di costei era morto, la madre stava dilapidando le ricchezze in carissimi filtri magici preparati durante le lezioni di stregoneria e, siccome non funzionavano mai, andava anche a ripetizione dalla più costosa delle fattucchiere che, consultata la sfera magica, la rincuorava predicendole un futuro da perfetta strega.
Quella sera vedendo che il Principe non invitò la sua figliola nemmeno per un ballo, arcigna e indispettita per l’ennesimo fiasco, diede sfogo alla collera e si vendicò mettendo in atto le sue incerte magie. Quando il ricevimento stava per concludersi, informò che si sarebbero accomiatate. Furtivamente si versò sul dorso della mano alcune gocce di un intruglio ancora in fase sperimentale, poi si diresse verso il giovane Lario che in un’elegante riverenza si prodigò in un baciamano.
Non appena le labbra assorbirono la pozione, il povero Principe cominciò a trasformarsi in acqua acqua e acqua, gli ospiti e le belle damigelle vennero spazzati via dalla furia del subisso che allagò tutte le terre circostanti.
Il mattino seguente, l’alluvione si era calmata ed era nato un nuovo lago, ben appunto il Lario, e dello sprovveduto Principe non rimase che il suo nome, la sua bellezza e il colore dei suoi occhi. Gli sventurati genitori furono trasformati in villaggi e l’anello che il principe doveva offrire alla dama di cui si sarebbe innamorato, si tramutò nell’ isola Comacina.
Della strega e della figlia non si seppe più nulla.
Il Lario era incastonato nelle Prealpi, sulle rive ghiaiose si affaccendavano pescatori che sbarcavano il lunario prendendo alborelle, pesci persici e agoni che poi venivano essiccati al sole. Intorno a lui il paesaggio acquistò un’originalità fantastica e col passare dei secoli divenne una meta turistica sempre più ambita da diverse popolazioni: mise ogni sua bellezza a disposizione dell’uomo che, oltre a chiese case e industrie, costruì magnifiche ville le cui fondamenta parevano immerse proprio nelle azzurre acque. Essendo molto ospitale, offrì splendidi soggiorni a personaggi famosi in tutto il mondo come Alessandro Manzoni, Stendhal, Leonardo Da Vinci, i poeti Foscolo e Fogazzaro, i musicisti Verdi, Rossini, Listz e Bellini; Napoleone, il primo ministro inglese Winston Churchill e il presidente Kennedy.
Lario brillava al sole e si rabbuiava in prossimità di un temporale, ma quando gli amici Breva e Tivano gli facevano i grattini, increspava le onde muovendosi tutto e gli amanti della vela lo adoravano. Anche lui era sportivo e aveva partecipato alle “Olimpiadi Laghi Italiani” piazzandosi 1° nel perimetro e 3° come grandezza.
Talvolta, quando si sentiva solo, guardava verso i piccoli paesi montani e fantasticava di poter tornare ad essere un ragazzo, sognava il suo castello e pensava ai suoi sudditi che ora non c’erano più; quando invece la malinconia gli pungeva il cuore, allora straripava e si spingeva fino in piazza Duomo a Como o sul lungolago di Lecco per abbracciare i genitori che da borgate erano cresciuti diventando moderne cittadine. Lario si era sempre adoperato per tutti regalando appunto bellezza, disponibilità, ospitalità e generosità ma a poco a poco le genti dimenticarono tutto questo incominciando a non rispettarlo più, qualsiasi cosa non servisse veniva gettata sulle rive e nelle acque di cristallo.
Un bel giorno l’amico fiume Adda, suo immissario ed emissario, gli disse con voce molto triste che le folaghe, gli svassi, le anatre e i cigni avevano progettato di andarsene dai loro nidi perché tra i canneti galleggiavano polistirolo, bottiglie di plastica e quant’altro. Il vecchio corso aveva cercato di dissuaderli rispondendo che nemmeno lui respirava bene ma non per questo aveva intenzione di andare altrove! Lario condivise appieno le lamentele dell’amico informandolo che nei fondali e sulle sue rive c’era molto di più…
Oramai l’uomo sottoponeva l’acqua e la terra ai suoi voleri senza considerarli come beni preziosi. Nella bella stagione gli umani passavano ore deliziose sulle spiagge tra tuffi, bagni di sole e sonnellini ristoratori all’ombra di qualche salice. A fine giornata però nessuno si prendeva la briga di portare a casa i propri rifiuti e smistarli nei vari sacchi della raccolta differenziata. Lario se ne stava silenzioso, senza difese ingoiava tutto quanto nella speranza che prima o poi qualcosa sarebbe cambiato.
Un bel giorno Priscilla e il nonno si trovarono a passeggiare sotto l’intreccio formato da rami dei platani che costeggiano il lungolago. Attratti dai richiami quasi prepotenti dei bellissimi cigni, scesero i gradoni e notarono con desolazione che le piccole creste d’acqua, schiumavano a riva dondolando avanti e indietro, barattoli di detersivi e sulle sponde fiorivano rifiuti d’ogni genere. Poco distante una folaga si lisciava le piume del petto e appollaiata nel suo nido tra le canne, li osservava insospettita. La bambina e il nonno si guardarono attorno imbarazzati e pieni di vergogna perché il genere umano aveva danneggiato e imbruttito un ambiente da fiaba.
Lario era un Principe Azzurro e tale doveva rimanere, così, nonno e bambina accompagnati da alcuni amici, tornarono muniti di guanti e sacchetti. Il passaparola arrivò a tutta la popolazione che si impegnò a non buttare lattine, cannucce, pile, vetri taglienti e mozziconi di sigaretta. I bambini divennero sostenitori impareggiabili del mondo ecologico ricordandosi di portare sempre appresso un sacchetto dove riporre l’eventuale immondizia, ad esempio: la gomma da masticare, il fazzolettino di carta, il vasetto dello yogurt o la confezione delle merendine.
Lo slogan che intonarono con grande entusiasmo fu: “Dico basta ai rifiuti tra i miei fiduciosi flutti!” dando voce al Principe dei laghi che visse, con l’inseparabile amico Adda, per sempre felice e contento.

Antonella Bolis